Doppio processo per la vittima del reato che vuole il risarcimento del danno.
La vittima del reato, parte civile in un processo penale, quando l’imputato viene prosciolto per incapacità di intendere e di volere, se vuole il risarcimento del danno, è costretta a ricominciare da zero un diverso processo civile.
Il giudice penale, infatti, non può pronunciarsi sulla domanda di risarcimento della parte civile e la persona offesa è costretta a un doppio processo.
Così prescrive il codice di procedura penale, che è stato salvato dalla Corte costituzionale (sentenza 12 depositata il 29 gennaio 2016). Anche se la Consulta non manca di sottolineare che il legislatore, se lo vuole, può disporre diversamente ed evitare la peregrinazione giudiziaria alla persona offesa. Ma da questo punto di vista l’orientamento attuale va in direzione contraria e cioè verso una ampia depenalizzazione e trasformazione di reati in illeciti civili.
Ma vediamo di illustrare la sentenza.
In un processo davanti al tribunale di Firenze, Pm e difensori hanno chiesto l’assoluzione dell’imputato, perché incapace di intendere e di volere al momento del fatto per vizio totale di mente. La parte civile ha chiesto l’applicazione dell’articolo 2047 del codice civile, che riconosce a favore del danneggiato un’equa indennità a carico del soggetto incapace.
Ma anche questa strada è sbarrata.
La corte ha ricordato che l’articolo 538 codice procedura penale consente al giudice penale di decidere sulle questioni civili solo nel caso di condanna dell’imputato: se questo viene sia assolto per totale infermità di mente, il danneggiato, non può fare altro che promuovere un autonomo giudizio davanti al giudice civile.
Certo, si legge nella sentenza, il legislatore potrebbe, nella sua discrezionalità, introdurre un sistema per cui il giudice penale si pronunci sulle questioni civili, pur in assenza di una condanna dell’imputato.
Ma al momento la diversa regola vigente non contrasta con la Costituzione.
L’attuale sistema è, infatti, caratterizzato dal principio della separazione e dell’autonomia del giudizio penale rispetto a quello civile. Il danneggiato può scegliere se esperire l’azione civile in sede penale o in sede civile.
Con altra pronuncia (sentenza n. 13 depositata il 29 gennaio 2016) la Corte costituzionale si è pronunciata in materia di compensi al difensore di soggetti ammessi al gratuito patrocinio. La pronuncia ha salvato la norma del testo unico delle spese di giustizia, che applica la riduzione di un terzo degli importi dovuti al difensore. Il problema è l’applicazione retroattiva della riduzione anche alla liquidazione di onorari per prestazioni già interamente compiute prima della entrata in vigore della norma censurata (art. 106-bis del d.p.r. n. 115/2002).
Nella sentenza la Consulta ha, però, bacchettato il giudice di merito, perché è partito dal presupposto per cui, nel caso di successione di diverse norme sugli onorari degli avvocati, il giudice debba necessariamente riferirsi agli onorari vigenti alla data del provvedimento di liquidazione. Tuttavia, le norme devono essere interpretate nel senso che un procedimento di liquidazione fisiologico comporta la concomitanza del momento dell’esaurimento della difesa, domanda del compenso e corrispondente provvedimento giudiziale di liquidazione.