Jobs act. La procedura verrà introdotta per contrastare l’impiego solo a fronte di controlli. Obbligo di comunicazione prima di utilizzare i voucher.

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Il Ministero del Lavoro apre ufficialmente il cantiere dei decreti correttivi al Jobs act: con il primo di questi provvedimenti, che potrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri tra fine maggio – primi di giugno, scatterà l’annunciata “stretta” sui voucher.

I “buoni” per le prestazioni di lavoro accessorio saranno resi pienamente tracciabili: le imprese che li utilizzeranno, ha annunciato ieri il dicastero guidato da Giuliano Poletti, dovranno comunicare preventivamente, in modalità telematica, nominativo e codice fiscale del lavoratore per il quale verranno utilizzati, insieme con l’indicazione precisa di data e luogo in cui si svolgerà la prestazione lavorativa e la sua durata. Si introduce, insomma, una modalità di controllo analoga a quella già in essere per il “lavoro a chiamata”, senza toccare, però, i limiti di compenso annui di questi strumenti (7mila euro, con tetto di 2mila per ciascun committente) per salvaguardare, viene spiegato, «il valore positivo» dei voucher.

L’obiettivo è contrastare l’utilizzo illegale ed elusivo dei buoni che, secondo il ministero, consiste principalmente nell’acquistarli ma usarli solo in caso di controlli (nel 2015 ne sono stati venduti 114,9 milioni, ma ne sono stati riscossi 88,1 milioni e una parte è stata restituita e rimborsata) oppure di impiegare i lavoratori per più tempo rispetto a quello dichiarato.

In base ai dati contenuti nel report realizzato da ministero e Inps e diffuso ieri non si può affermare in linea generale che i voucher costituiscono una sostituzione di contratti preesistenti, dato che solo il 10% degli utilizzatori ha avuto rapporti di lavoro con lo stesso datore nei sei mesi precedenti. A questo riguardo, però, il ministero evidenzia che l’ingente acquisto di voucher «da parte di soggetti che operano nel settore delle manifestazioni sportive e culturali si può spiegare come il risultato di un uso ormai consolidato del lavoro accessorio» nell’ambito di eventi sportivi, sociali e culturali che hanno un’effettiva natura occasionale, mentre per quanto concerne turismo, commercio e servizi è necessario un approfondimento per verificare eventuali utilizzi irregolari e “sommersione” di rapporti di lavoro in precedenza regolamentati da forme contrattuali tipiche.

Quanto agli importi incassati, il 92% dei lavoratori nel 2015 non ha percepito più di 2mila euro, contrariamente all’ipotesi per cui l’innalzamento del tetto a 7mila euro avrebbe fatto diventare il lavoro accessorio l’unica fonte di reddito per molte persone.

Tornando ai “correttivi” ai decreti attuativi del Jobs act, si apprende che i provvedimenti saranno più di uno, e, come da legge delega, potranno essere varati entro un anno dall’entrata in vigore del singolo D. lgs. che si punta a rivedere. In base a questo criterio sarebbero pertanto scaduti (lo scorso 7 marzo) i termini per modificare i primi due D. lgs., quello sui nuovi sussidi di disoccupazione e sulle tutele crescenti. Su quest’ultimo provvedimento rimane così appesa la modifica all’articolo 6, relativo all’offerta conciliativa in caso di licenziamento. L’attuale versione del D. lgs. indica 60 giorni per fare (e accettare) l’offerta. Può capitare però che l’azienda faccia l’offerta al 50esimo giorno, e così il rischio è di non avere i tempi materiali utili per procedere all’accettazione da parte del lavoratore, che comunque deve avvenire in una sede “protetta” (sindacato o direzione territoriale del lavoro). Ebbene, per risolvere questo problema, l’Esecutivo aveva in mente di precisare che entro i 60 giorni è sufficiente solo «inviare» la lettera d’offerta. L’interessato avrà poi 30 giorni per accettarla. Ma la scadenza del termine (per inerzie varie) per correggere il D. lgs. 23/2015 potrebbe chiudere la porta a questo correttivo (utile per le aziende).

Una riunione tra i tecnici di palazzo Chigi e ministero del Lavoro sui decreti correttivi è in calendario subito dopo Pasqua. Tra le modifiche in corso d’approfondimento, ce ne è una sul D. lgs. 150/2015 per far rientrare tutto il coordinamento sul tema «formazione» tra le competenze dell’Anpal (sottraendolo al ministero del Lavoro). Si sta valutando anche un chiarimento alla legge delega 183/2014 in materia di dimissioni e risoluzioni consensuali per assicurare certezza della cessazione del rapporto (valorizzando il comportamento concludente del lavoratore). Una richiesta su cui preme da tempo Confindustria, la quale ricorda come in caso di risoluzione “incerta” del rapporto di impiego le imprese siano costrette ad attivare il licenziamento, che comporta un aggravio di costi (ed espone le aziende a contenziosi).


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