la vendita prima del quinquennio dell’acquisto l’immobile genera plusvalenza

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La vendita prima del quinquennio dall’acquisto l’immobile genera plusvalenza anche se in parte è prima casa
qualora venga venduto un immobile prima del decorso quinquennio (acquistato da meno di 5 anni da parte di un soggetto Irpef), che sia destinato per una sua porzione ad abitazione principale del venditore e che, per altra sua porzione, sia locato a terzi, la parte di prezzo proporzionalmente relativa a quest’ultima porzione genera plusvalenza, ove vi sia una differenza positiva tra il valore d’acquisto e il prezzo di vendita. In altre parole, non può il contribuente pretendere (come è in effetti accaduto nel caso di specie) di considerare l’intera plusvalenza non imponibile per il fatto che una porzione dell’immobile è adibita a sua abitazione principale; se si comporta in questo modo, incorre nel reato di dichiarazione infedele qualora vi sia il superamento della soglia di punibilità dell’articolo 4 del decreto legislativo 74/2000. È quanto stabilito dalla Cassazione penale nella sentenza n. 37169 del 7 settembre. In base all’articolo 67, comma 1, lettera b del Tuir, sono da qualificarsi «redditi diversi» (se non conseguiti come reddito d’impresa) e imponibili a Irpef, le plusvalenze realizzate con cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, ma fatta esclusione:
per quelli acquisiti per successione ereditaria;
per le unità immobiliari urbane che, per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto (o la loro costruzione) e la cessione, sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.
Si pone dunque il problema, che la norma non tratta esplicitamente, dell’uso “promiscuo” di un dato bene immobile, come è accaduto nella concreta fattispecie esaminata dalla Cassazione penale nella sentenza n. 37169, in cui un immobile, comprato nel 2004, venne poi venuto nel 2007, essendo stato utilizzato solo in parte da un familiare del proprietario ed essendo stato locato a terzi per la restante parte. Il dubbio è dunque il seguente: l’uso abitativo solamente parziale “assorbe” l’uso non abitativo, di modo che la plusvalenza generata in sede di vendita beneficia in toto dell’esenzione da imponibilità derivante appunto dall’uso abitativo? oppure, la plusvalenza deve essere invece ripartita in due quote, una (non imponibile a Irpef) riferita alla porzione dell’immobile destinata ad abitazione del contribuente o di un suo familiare, e l’altra (imponibile) riferita alla porzione dell’immobile destinata ad abitazione di soggetti diversi dal contribuente o di suoi familiari ? In effetti, vi sarebbe poi anche l’eventualità di una terza tesi, e cioè che la parziale destinazione dell’immobile a uso abitativo di soggetti diversi dal contribuente o da suoi familiari faccia assumere la natura imponibile all’intera plusvalenza realizzata con la vendita dell’immobile in questione.
Secondo la Suprema corte, dunque, la norma di cui all’articolo 67, comma 1, lettera b), Tuir, deve essere interpretata nel senso che si deve spacchettare la plusvalenza, riferendola proporzionalmente:
in parte alla porzione dell’immobile abitata dal contribuente (o da suoi familiari); e:
in parte all a porzione dell’immobile abitata dai locatari del contribuente.
Ragionare in senso contrario (e cioè nel senso della totale irrilevanza della plusvalenza, ritenendo assorbente il fatto che anche una sola porzione dell’immobile sia adibita ad abitazione del contribuente o di suoi familiari) significherebbe, secondo i giudici di legittimità, sconfessare l’intenzione del legislatore che, nel dettare la norma in commento, ha evidentemente voluto sottrarre a imposizione la sola plusvalenza realizzata dal soggetto Irpef il quale adibisca a propria abitazione, per la maggior parte del tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita, l’immobile venduto prima del decorso di un quinquennio dalla data del suo acquisto.
In sostanza, la norma va letta nel senso che, nel caso di uso promiscuo dell’immobile, la parte abitata da terzi produce plusvalenza imponibile. Evidentemente, la tesi accolta dalla Cassazione esclude in modo implicito che si possa dare rilevanza a una tesi per la quale l’intera plusvalenza, nel caso di beni locati in parte a terzi (e in parte adibiti ad abitazione principale del contribuente), sia imponibile a Irpef.


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