Come è cambiata la disciplina sanzionatoria per i licenziamenti illegittimi

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Con l’introduzione del contratto a tutele crescenti, per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, viene totalmente ridisegnata la disciplina sanzionatoria per i licenziamenti illegittimi.

Pertanto, la nuova disciplina si applica ai lavoratori neoassunti, ossia coloro che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, titolari di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015.

Per i lavoratori occupati entro il giorno antecedente, invece, operano le norme poste in essere dalla l. 300/1970 e l. n. 604/1966, come modificate dalla l. n. 92 del 2012 (Riforma Fornero).

La ratio – e l’obiettivo dichiarato – della nuova disciplina consisterebbe nella prospettiva di ridurre i costi per le imprese, facendo ripartire l’occupazione.

Per i nuovi assunti alle dipendenze di datori di lavoro in regime con più di 15 dipendenti (compresi gli enti di tendenza) – o che abbiano superato la soglia di 15 dipendenti a partire dal 7.3.2015 -, in caso di licenziamento economico – per giustificato motivo oggettivo o licenziamento collettivo – illegittimo è esclusa in ogni caso la reintegrazione nel posto di lavoro.

In tali ipotesi, il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente una

tutela indennitaria, con la previsione di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio a favore del lavoratore.

Tale  indennità  oscilla  tra  le  4  e  le  24  mensilità  (da  2  a  12,  se  si tratta  di violazione procedimentale).

Quindi il giudice, qualora accerti l’illegittimità del licenziamento, dichiara l’estinzione del rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio (la base di calcolo è costituita, anche in questo caso, dall’ultima retribuzione  di   riferimento   per   il   calcolo   del   trattamento   di   fine   rapporto). In ogni caso, l’indennità non potrà essere inferiore a 4 mensilità, né potrà superare le 24 mensilità.

Per i licenziamenti disciplinari, intimati per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, la reintegrazione nel posto di lavoro è esclusa, con applicazione del regime appena descritto.

Essa viene prevista solo nelle ipotesi di licenziamento in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione del giudice circa la sproporzione del licenziamento.

Quindi, in tali casi, qualora sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, il datore di lavoro è condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, e il dipendente ha diritto di percepire un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e corrispondente al periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione che peraltro non potrà essere superiore a 12 mensilità.

In questi casi non è prevista un’entità minima, come invece stabilito per le altre ipotesi di licenziamento nullo o inefficace.

Dall’indennità in questione cui andrà dedotto l’aliunde perceptum, e le somme che il lavoratore avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro (secondo i criteri indicati dall’art. 4, co. 1, lett. c), del decreto legislativo n. 181 del 2000).

La tutela reintegratoria permane anche nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo,

per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore ed infine nel caso in cui sia intimato in forma orale (cui è assimilato il licenziamento collettivo orale e/o intimato in assenza di comunicazione iniziale di apertura della procedura o con comunicazione viziata in uno dei suoi elementi essenziali).

In tali ipotesi, infatti, il giudice, dichiarata la nullità del licenziamento, condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto, oltre al pagamento di un’indennità a favore di quest’ultimo e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

L’indennità è appunto commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e corrisponde al periodo intercorrente tra il giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.

In ogni caso, l’indennità non può essere inferiore a cinque mensilità.

Sul piano processuale inoltre, è superato il rito Fornero per i soli nuovi assunti con il rischio che due lavoratori della stessa azienda, impugnando giudizialmente il provvedimento di licenziamento lo stesso giorno, possano vedere tutelati i propri diritti a distanza di molto tempo l’uno dall’altro.


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