L’Agenzia deve provare l’accettazione dell’eredità. L’ufficio non può incassare il credito dal presunto erede.

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L’ufficio, che pretende da un contribuente le imposte non versate da parte del defunto, deve provare la sua qualità di erede. A tal fine non è sufficiente la produzione della mera denuncia di successione presentata poiché occorrono gli atti dello stato civile. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza 3611 depositata qualche giorni fa.

A un contribuente era stato notificato un avviso di accertamento che veniva impugnato dinanzi al giudice tributario. Il giudizio è proseguito sino in Cassazione, la quale ha rinviato ad altro giudice di appello la decisione nel merito. Nel frattempo il contribuente è morto e l’amministrazione faceva causa nei confronti degli eredi, soccombenti dalla decisione della Ctr.

I presunti eredi hanno presentato ricorso in Cassazione lamentando che il giudice di appello non avrebbe tenuto conto della rinuncia all’eredità effettuata e, quindi, non avrebbe concretamente accertato la qualità di eredi, solo nei confronti dei quali era possibile avanzare la pretesa erariale. L’ufficio, infatti, non aveva prodotto alcun elemento in base al quale poteva avanzare la richiesta del debito del de cuius.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo. Ha preliminarmente rilevato che il difetto di legittimazione passiva dei chiamati all’eredità andava sollevato nel giudizio di rinvio mediante produzione dell’atto di rinuncia. Nello specifico, questo documento era stato prodotto tardivamente e pertanto la Ctr, correttamente, non ha tenuto conto dell’atto. Tuttavia ha poi affermato che, in tema di obbligazioni tributarie, grava sull’amministrazione finanziaria creditrice del contribuente deceduto l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte degli eredi, per poter esigere l’adempimento dell’obbligazione stessa.

Questo onere non può essere assolto con la produzione della sola denuncia di successione, poiché occorrono gli atti dello stato civile dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela che legittima alla successione ovvero di qualsiasi altro documento dal quale possa, con pari certezza, desumersi la sussistenza di tale qualità. Nel caso esaminato l’ufficio in giudizio non aveva prodotto alcun dato dal quale potesse risultare provata l’accettazione dell’eredità: si era limitato infatti a riassumere la causa nei confronti dei presunti eredi.

Nella decisione di appello, non vi era alcuna indicazione dalla quale potesse desumersi la fonte del convincimento del giudice in ordine alla qualità di eredi, necessaria peraltro anche per la verifica della legittimazione passiva nel giudizio stesso.

La Cassazione, quindi, ha rinviato ad altra sezione della commissione regionale pronunciando il principio di diritto secondo cui grava sull’amministrazione l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte degli eredi per poter esigere delle somme da questi ultimi. A tal fine non è sufficiente la mera denuncia di successione presentata.


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