Se nella dinamica del sinistro sussiste un collegamento funzionale tra l’azione ed il gioco in atto, non spetterà alcun risarcimento all’insegnante colpito da una pallonata. E’ quanto stabilito dalla terza sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1322/16.
La vicenda riguardava una professoressa, colpita al volto violentemente dal pallone calciato da un alunno durante una partita di pallavolo diretta dall’insegnante di educazione fisica della classe maschile. A causa del suddetto incidente, la docente aveva lamentato gravi lesioni, per cui aveva convenuto in giudizio sia il Ministero della Pubblica Istruzione sia l’assicurazione, quale responsabile civile in virtù di una polizza assicurativa contro gli infortuni stipulata dal Ministero, per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti, sia di natura biologica che patrimoniale.
Il Tribunale adito ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria; tale decisione è stata poi riformata dalla Corte d’appello competente, che, per gli aspetti relativi al merito, ha poi rigettato la domanda.
Avverso tale sentenza, gli eredi della professoressa hanno proposto ricorso in Cassazione. Pur ritenendo che la motivazione fosse da correggere, la Suprema Corte ha ritenuto infondate le doglianze sollevate, rigettando il ricorso.
In particolare, è stata confermata la sentenza impugnata nella parte in cui viene esclusa la responsabilità ex art. 2048 c.c. a carico dei convenuti, atteso che la suddetta disposizione normativa non configura un’ipotesi responsabilità oggettiva né per gli studenti né per i professori, stabilendo che il danno sia risarcibile nel caso in cui lo stesso sia conseguenza del fatto illecito di uno studente, ovvero qualora l’istituto scolastico non abbia osservato obblighi di vigilanza e controllo, non adottando misure preventive idonee ad evitare il fatto.
Condizioni di applicabilità della norma che si traducono in un fatto costitutivo, l’illecito, che deve essere dimostrato dal danneggiato, ed in un fatto impeditivo, il non averlo potuto evitare, che va provato dall’istituto scolastico (Cass. civ. Sez. 3, 14/10/2003, n. 15321).
Nel caso in oggetto, l’azione dannosa si è consumata nel corso di una gara sportiva, svolta durante l’ora di educazione fisica, per cui si può fare riferimento ai principi elaborati in tema di responsabilità per i danni causati da un atleta ad altro atleta impegnato nel corso di una gara sportiva.
In particolare, il criterio per distinguere tra comportamento lecito e quello punibile va individuato nel nesso tra il gioco ed evento lesivo. Tale collegamento va senz’altro escluso se l’atto è compiuto allo scopo di ledere o con violenza incompatibile con le caratteristiche del gioco e, in tal caso, la condotta è sempre punibile anche se in ipotesi non avesse violato regole dell’attività sportiva svolta. Al contrario, non sussiste la responsabilità se, come nella vicenda de quo, le lesioni sono la conseguenza di un atto posto senza la volontà di ledere e se, pur in presenza di violazione delle regole di gioco, l’atto a questo è funzionalmente connesso (Cass. n. 12012/2002).
Infine, la Suprema Corte ha rilevato che le modalità di verificazione del sinistro, ovvero il calcio al pallone con cui si disputava la partita di pallavolo, dimostrano sia l’assenza di una finalità di ledere in capo all’alunno sia l’esistenza di collegamento funzionale tra l’azione di questi e il gioco in atto, anche se in violazione delle regole del gioco stesso, che non prevede lanci con i piedi.