Tra i criteri direttivi dati al Governo per la riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza, la legge delega in materia presentata il mese scorso ha previsto di cambiare in modo organico le procedure concorsuali. Un punto delicato si annuncia il trattamento di quanto riscosso dai creditori durante il concordato preventivo quando poi esso viene dichiarato risolto e si apre quindi il fallimento: le modifiche urgenti varate l’anno scorso (Dl 83/2015), pur comprendendo una rivisitazione del concordato preventivo, non hanno affrontato il problema. Ma la Cassazione si era espressa già in passato, escludendo che queste somme, se incassate legittimamente, vadano restituite.
Un indirizzo che dovrebbe essere recepito dalla riforma, se è vero che tra i princìpi generali del disegno di legge delega c’è la riformulazione delle “disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento” (articolo 2, lettera j). Il tutto “in coerenza con i princìpi espressi dalla presente legge delega”. E dai lavori preparatori emerge che le soluzioni andranno riprese dalle pronunce della Cassazione.
Inoltre, la delega prevede un’integrazione della disciplina dei provvedimenti che riguardano i rapporti pendenti. Con particolare riferimento ai presupposti della sospensione e, dopo la presentazione del piano, anche dello scioglimento.
In questo panorama si inserisce la sentenza della Cassazione n. 506/2016 (presidente Ceccherini, relatore Ferro) che ha stabilito che in caso di risoluzione del concordato preventivo e di conseguente dichiarazione di fallimento, i creditori anteriori alla riapertura della procedura fallimentare sono esonerati dalla restituzione di quanto hanno riscosso in base al concordato risolto o annullato. Le riscossioni devono però essere valide ed efficaci e non deve trattarsi di pagamenti illegittimamente eseguiti.
La sentenza ha deciso sull’impugnazione proposta da un istituto di credito contro una sentenza della Corte d’appello di Messina. Quest’ultima aveva accolto il ricorso di una società fallita riconoscendo, a seguito della risoluzione del concordato preventivo, che alcuni pagamenti effettuati in esecuzione della procedura preventiva cui la fallita era stata ammessa non mantenevano in concreto la loro efficacia.
La Cassazione, conformandosi all’orientamento dominante di legittimità (tra le tante, si veda la sentenza 16738/2014) ribadisce che la mancanza di obbligo a restituire quanto legittimamente riscosso, ex articolo 140, comma 3, Legge fallimentare, non rinvia al diritto di ripetere ciò che è stato pagato e “non dovuto”, poiché non si tratta di pagamenti vietati in punto di validità, stante l’attuazione di essi in conformità allo statuto dei creditori e con controllo dell’organo concorsuale.
La Legge fallimentare prevede, infatti, che i creditori anteriori alla riapertura della procedura fallimentare siano esonerati dalla restituzione di quanto hanno riscosso in base al concordato risolto o annullato, sempre che si tratti di riscossione valide ed efficaci e non di riscossioni cui essi non avevano diritto in funzione di quanto programmato nel piano concordatario.
È questo il principio ormai consolidato della conservazione dei pagamenti regolarmente disposti e percepiti.
La Cassazione, dunque, è stata chiamata a stabilire se un istituto di credito dovesse restituire o meno alla massa, per violazione della par condicio creditorum, i pagamenti regolarmente ricevuti nel corso di un concordato preventivo della società. Una procedura concorsuale di risanamento poi risoltasi in fallimento.
Sempre secondo la Corte, un imprenditore in concordato non ha la facoltà di eseguire il pagamento di debiti pregressi, in quanto tali atti solutori rappresentano violazioni della par condicio creditorum. Infatti, il divieto di eseguire pagamenti sussiste prima dell’omologazione del concordato.
Non è precluso il pagamento dei debiti pregressi, secondo la giurisprudenza (si veda la sentenza 10620/1990 della Cassazione) esclusivamente dopo l’ammissione alla procedura concorsuale, previa autorizzazione del giudice delegato e solo se ed in quanto esso sia indirizzato al risanamento dell’impresa nell’interesse della massa. La Cassazione, accogliendo il ricorso, ha stabilito che l’istituto di credito non deve restituire alla massa, per violazione della par condicio creditorum, i pagamenti regolarmente percepiti nel corso di un concordato preventivo poi risoltosi in fallimento.
Le premesse.
L’intento del legislatore della delega è sostituire il termine «fallimento» con equivalenti, introducendo una definizione dello stato di crisi e adottando un unico modello processuale volto a particolare celerità. Una rivoluzione copernicana, resa impellente dalle sollecitazioni europee (raccomandazione n. 2014/135/UE e novellato regolamento sull’insolvenza transfrontaliera (15414/15/UE)
La filosofia.
Alla delega sta lavorando una commissione di esperti, presieduta da Renato Rordorf, magistrato della Cassazione. Ci si muove in modo che l’imperativo della semplificazione ed armonizzazione delle procedure non travolga le esistenti peculiarità oggettive, da salvaguardare all’interno di percorsi secondari, ad esse appositamente dedicati
Il contenuto.
Tra i punti principali del testo di legge al quale sta lavorando la Commissione Rordorf (il Ddl è stato presentato a gennaio), c’è l’introduzione di meccanismi di allerta per far emergere per tempo le crisi aziendali, la limitazione del ricorso al concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti con gli intermediari finanziari e aiuti alle banche per smaltire i crediti
Il decreto del 2015.
L’anno scorso, col via libera al decreto fallimenti, sono cambiati concordato e svalutazioni. Tra le linee guida, facilitazioni per l’accesso al credito da parte dell’impresa che abbia chiesto il concordato preventivo, richieste di finanziamento con beneficio della prededuzione e livello minimo (fissato al 20%) dei debiti chirografari, per far sì che la proposta di concordato possa essere accolta.