L’esistenza di una password testimonia a favore della riservatezza. Spiare una casella mail è reato di accesso abusivo. La posta è parte di un sistema informatico più esteso

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Milano. Va sanzionato per accesso abusivo a sistema informatico chi si intromette nella mail altrui per prendere visione dei messaggi in questa contenuti. La casella di posta elettronica rappresenta infatti un «sistema informatico» protetto dall’articolo 615 ter del Codice penale. A questa conclusione approda la Corte di cassazione con la sentenza n. 13057 della Quinta sezione. La pronuncia ha così confermato la condanna di 6 mesi inflitta al responsabile di un Ufficio di Polizia provinciale che, approfittando della sua qualità e dell’assenza di un assistente nello stesso ufficio, si era introdotto in due occasioni nella casella di posta elettronica di quest’ultimo, e, dopo avare preso visione di numerosi documenti, ne aveva scaricati due.

Tra i motivi di ricorso, la difesa aveva contestato che ci fosse stato un accesso a un «sistema informatico», per l’inesistenza di un sistema coincidente con la posta elettronica. Infatti, secondo la linea difensiva, il «sistema informatico» rilevante sulla base dell’articolo 615 ter del Codice penale era quello dell’ufficio, al quale era possibile accedere con password non personalizzate, mentre la casella personale di posta rappresentava un’”entità” estranea alla nozione prevista dal Codice penale.

Una posizione però del tutto confutata dalla Cassazione. Che mette invece in evidenza come la casella mail rappresenta «inequivocabilmente» un «sistema informatico» rilevante per l’articolo 615 ter del Codice penale. La Corte ricorda che nell’introdurre questa nozione nel nostro ordinamento, il legislatore ha fatto evidentemente riferimento a concetti già diffusi ed elaborati nel mondo dell’economia, della tecnica e della comunicazione, «essendo stato mosso dalla necessità di tutelare nuove forme di aggressione alla sfera personale, rese possibili dalla sviluppo della scienza».

Pertanto, sottolinea ancora la sentenza, il sistema informatico inteso dal legislatore non può essere costituito che dal «complesso organico di elementi fisici (hardware) ed astratti (software) che compongono un apparato di elaborazione dati». In questo senso si esprime anche la Convenzione di Budapest che pure era stata richiamata a sostegno della tesi difensiva. E allora la casella di posta non è altro che uno spazio di memoria di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi o informazioni di altra natura (video, messaggi) di un soggetto identificato da un account registrato presso un provider. E l’accesso a questo spazio di memoria rappresenta senz’altro un acceso a sistema informatico di cui la casella è un semplice elemento.

Così, se in un sistema informatico pubblico sono attivate caselle di posta elettronica protette da password personalizzate, allora quelle caselle costituiscono il domicilio informatico proprio del dipendente stesso. L’accesso abusivo a queste caselle concretizza così il reato disciplinato dall’articolo 615 ter del Codice penale, «giacchè l’apposizione dello sbarramento, avvenuto con il consenso del titolare del sistema, dimostra che a quella casella è collegato uno ius excludendi di cui anche i superiori devono tenere conto».


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